
Pugno di ferro in guanto di velluto. Mario Draghi ha deciso di dare una bacchettata ai sostenitori dell’ordoliberismo e dell’austerity a tutti i costi. Il varo da parte della Banca centrale europea di una politica monetaria basata su tassi di interesse di fatto azzerati e su un cospicuo intervento di quantitative easing è stato prima ostacolato, quindi accompagnato e commentato da una campagna di sollecitazione della paura rivolta all’opinione pubblica tedesca e più in generale dei Paesi del Nord Europa. In estrema sintesi, gli oppositori sostenevano che con bassi tassi di interessi e un aumento considerevole della liquidità i risparmiatori tedeschi e dei paesi ricchi avrebbero incassato di meno dai propri investimenti, rischiando di dover poi fronteggiare anche una fiammata di inflazione. E tutto per sostenere i Paesi meno probi.
Mese dopo mese, il governatore della Banca centrale europea sta invece dimostrando, dati e studi alla mano, che non è così: pur in un quadro generale ancora problematico e dove i rischi di instabilità non sono affatto scomparsi, si vedono gli effetti positivi degli interventi non convenzionali della Bce, l’inflazione è sotto controllo, anche i Paesi del Nord beneficiano del leggero venticello di ripresa e i risparmiatori dei paesi più ricchi possono contare su un maggiore rendimento dei propri investimenti.
La conferenza stampa di giovedì 3 marzo è stata da questo punto di vista esemplare. Al termine della riunione della Bce, Mario Draghi ha chiarito che:
1. Il quantitative easing sta funzionando. La ripresa c’è e sta cominciando a produrre i propri effetti.
2. Tuttavia, si prevedeva che fosse più robusta. Le proiezioni sulla crescita sono state riviste: 1,5 per cento quest’anno e 1,9 nel 2016, esattamente come stimato a marzo, ma solo il 2 per cento nel 2017, contro il precedente 2,1 per cento. Soprattutto, è aumentata l’incertezza, come dimostra la più ampia forbice nelle previsioni: tra l’1,1 e l’1,9 per cento nel 2015; tra lo 0,5 e il 3,3 nel 2016, tra lo 0,3 e il 3,7 per cento nel 2017.
3. L’inflazione ha cominciato a muoversi, ma è ancora molto lontana dall’obiettivo che la Bce si è proposta di raggiungere (il due per cento). A fine anno risulterà dello 0,3 per cento e non più dello zero per cento come fu previsto a marzo. Ma non supererà l’1,5 per cento a fine 2015, tra l’altro grazie a un effetto puramente matematico, e l’1,8 a fine 2016.
4. Di conseguenza il quantitative easing proseguirà, come previsto, nonostante tutti i tentativi di fermarlo o limitarlo. Anzi, considerato che la ripresa è ancora debole, potrebbe addirittura essere rafforzato.
5. I tassi di interesse restano fermi.
Draghi si è fermato qui. Ma in coincidenza con la riunione e della tradizionale conferenza stampa, la Bce ha diffuso uno studio dal titolo significativo: “Quanto c’è di vero nella tesi di un “esproprio” a danno dei risparmiatori?”. La sintesi dei risultati, è stato un colpo diretto ed esplicito alle tesi dei frenatori: “La politica di bassi tassi di interesse della Banca centrale europea grava sui risparmiatori? Questa è l’accusa solitamente mossa: la banca centrale ha ridotto talmente i tassi di interesse di riferimento, che i piccoli risparmiatori non ricevono praticamente alcun interesse. Il livello contenuto dei tassi rende i prestiti meno costosi per chi si indebita. E alla fine per i creditori rimane ben poco: la colpa è della banca centrale. Ma uno studio fa luce sulla questione. Lo studio – si legge nel sito della Bce - dimostra che non è la banca centrale a determinare nel lungo periodo i rendimenti dei risparmi in termini reali, ossia al netto dell’inflazione. Nel medio periodo il tasso di rendimento sugli investimenti in termini reali dipende soprattutto da quanto sia innovativa e giovane l’economia, dalle condizioni delle strade e di altre infrastrutture, dalla flessibilità del mercato del lavoro e da quanto siano propizie alla crescita le politiche pubbliche. È l’economia reale che genera rendimenti reali. La banca centrale sostiene l’economia assicurando la stabilità dei prezzi, affermano gli autori dello studio Ulrich Bindseil (BCE), Jörg Zeuner (KfW) e Clemens Domnick (KfW)”.
Conclusione: “Una politica monetaria deliberatamente inadeguata da parte della BCE potrebbe frenare ulteriormente l’economia e quindi anche le prospettive a lungo termine sui rendimenti dei risparmi”. Più chiari di così non si poteva essere.
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