
Altre volte è bastato un annuncio del presidente della Bce, Mario Draghi, a far scendere le tensioni e i pericoli. Questa volta, dopo il discorso di fine estate negli Usa, denso di annunci e di sostanza, non si è mossa una foglia: il pericolo della deflazione è ancora tutto di fronte all’Europa. Ma non erano solo parole. Anche il bazooka della Bce ha sparato. Giovedì 18 sono cominciate le aste Tltro, crediti per quattro anni al tasso dello 0,15 per cento alle banche perché facciano a loro volta crediti alle imprese. Fino a 400 miliardi di euro sono disponibili quest’anno (con le aste di settembre e dicembre). Ma il primo colpo si è risolto in un mezzo flop: sono stati richiesti appena 82,6 miliardi. E bisognerà anche verificare che questi denari arrivino davvero all’economia reale (e non servano invece a ripagare altri crediti accesi in precedenza dalle stesse banche con la Bce).
Tutto come prima: non è bastata l’aspirina a rianimare il malato, e per ora nemmeno l’antibiotico ha sortito un effetto visibile. A questo punto bisogna augurarsi che il Fondo monetario internazionale abbia commesso un altro (l’ennesimo) errore di previsione, scrivendo nei suoi documenti che il rischio di una “stagnazione secolare” non si può più escludere per l’Europa e per il Giappone. Una frase accolta senza interesse in Italia anche perché coperta dalle considerazioni dello stesso Fmi sulla riforma del lavoro (da apprezzare secondo i tecnici del Fmi) e sul fatto che se si vogliono trovare risorse nel bilancio dello Stato si devono tagliare le pensioni (gli evasori invece possono vivere tranquilli).
La verità è che la realtà incalza l’ideologia. L’Europa (e l’Italia prima di tutti) si sta avvitando. Draghi è stato costretto a un lungo lavorio di mediazione per poter intervenire. Ma a causa del tempo perso ora dovrà fare di più: i mercati non si muoveranno fino a quando non vedranno la Bce avviare operazioni di quantitative easing. E deve cambiare subito, anche in questo caso non fra sei mesi o un anno perché è già tardi, la politica dell’Unione europea: gli interventi per lo sviluppo (a cominciare dall’espansione della domanda interna tedesca) devono prevalere sulla linea dell’austerità ottusa, fermo restando il rigore con cui si devono considerare i conti. Le riforme naturalmente servono e vanno fatte, soprattutto in Italia. Ma senza questi cambiamenti in tempi brevi il rischio di una lunga stagnazione, e di ripercussioni sociali pesanti, è di fronte a noi.
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