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La frenata del Pil gela Renzi: altro che bengodi, la legge di stabilità sarà durissima da fare e sulla destinazione delle poche risorse sarà battaglia

12/08/2016
Crescita zero nel secondo semestre (in allegato la nota dell'Istat). Prezzi ancora in calo (in allegato la nota dell'Istat). Per il 2016 il Pil si prevede molto al di sotto dell'1,2 fissato nel Def. I rapporti tra deficit, debito e Pil potrebbero impennarsi. poche risorse. E sarà battaglia sulle spese sociali. Resta il bacino dell'evasione fiscale dove si potrebbero attingere miliardi di euro. Ma il governo pensa solo all'ennesimo condono per gli evasori che hanno esportato capitali all'estero.

Se ne parla troppo poco, ma la predisposizione e poi la discussione sulla legge di bilancio, nuovo nome per la legge di stabilità, quest’anno si riveleranno una prova durissima per l’Italia, per il governo Renzi e per le opposizioni.

Ogni giorno che passa statistiche, previsioni, sondaggi, e cioè tutti i segnali che arrivano dall’economia indicano che la speranza di una ripresa sia pur lieve, ma comunque capace di rendere meno difficile la consueta manovra d’autunno, si sta spegnendo. Gli ultimi dati sono emblematici. Secondo i calcoli dell’Istat, il Prodotto interno lordo è rimasto invariato nel secondo semestre, con una crescita acquisita nel primo semestre che indica un poverissimo +0,6 per cento per l’intero 2016 (in allegato la nota integrale dell’Istat). Sempre secondo i dati Istat, i prezzi sono risultati ancora in calo, sia pure meno dei mesi precedenti con una variazione acquisita per il 2016 pari al meno 0,1 per cento (in allegato la nota integrale dell’Istat).

Per avere un’idea di ciò che questo andamento potrebbe significare per i conti pubblici basti qui ricordare che la Commissione europea, di fronte alla previsione italiana di una crescita del Pil all’1,2 per cento e di un rapporto tra deficit e Pil pari all’1,8 per cento, ha già previsto che se la crescita fosse inferiore alla stima di metà punto percentuale il rapporto tra il disavanzo pubblico e il Pil sfiorerebbe la fatidica soglia del 3 per cento (2,9) e il rapporto tra debito pubblico e Pil passerebbe dal 132,4 per cento al 133,8, segnale pessimo per i mercati.

Senza contare la mancanza di risorse per rispettare e soddisfare le diverse promesse che ogni giorno vengono rinnovate. Nel metter mano alla legge di bilancio, se non vorrà far scattare pesantissimi aumenti delle aliquote Iva, il governo si troverà in primo luogo a dover sterilizzare clausole di salvaguardia che lo stesso Renzi ha lasciato in piedi per 15,1 miliardi di euro nel 2017 e 19,6 nel 2018

Poi dovrà mettere in bilancio i fondi per la flessibilità delle pensioni e per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici, in apnea da anni e che ora sono sul piede di guerra. Lo sconto per l’Ires (l’imposta sugli utili delle società).

Ci riuscirà? Certo molto aiuta l’appiattimento dei tassi di interesse, grazie al quale il Tesoro si sta finanziando vendendo titoli a costi infinitesimali. Qualcosa potrà arrivare dalla vendita di qualche pezzo dei gioielli di famiglia, come una ulteriore quota delle Poste. E al ministero dell’Economia sembrano voler spremere tutto anche con l’ennesimo colpo di spugna sugli evasori fiscali che hanno portato i soldi all’estero. Si parla ancora di spending review. Ma in tempi brevi il timore è che si arrivi ai soliti tagli della spesa sociale.

Difficilmente saranno disponibili in questo contesto risorse per fare il bonus pensioni, la revisione dell’Irpef per i ceti medi e le tante altre idee che nella narrazione governativa vengono diffuse ogni giorno.

Per questo la legge di bilancio sarà una prova durissima: le spese sociali sono già state compresse al massimo. Anzi, sulla sanità, tanto per fare un esempio, se si vuole evitare una debacle e l’implosione del sistema generalista (come ha ricordato il Censis ci sono milioni di persone che non si curano più per ragioni di costo ) bisognerebbe reinvestire, e pesantemente, in organizzazione e in risorse finanziarie. Per contrastare la povertà sarebbero necessarie risorse non marginali. Per finanziare una politica industriale capace di stimolare investimenti per sostenere attività, innovazione e occupazione servono denari. Per irrobustire i percorsi di formazione, sempre più importanti in vista della quarta rivoluzione industriale servono capitali.

Dove trovare dunque le risorse per fare tutto questo? Per realizzare le tante promesse lanciate in questi mesi? Una fonte ci sarebbe. Ma c’era anche prima e si è voluta attivare solo per piccole cose marginali: come ha indicato anche l’Ocse, l’Iva italiana è la tassa più evasa d’Europa. Colpendo quell’evasione si potrebbero ottenere risultati anche sul piano dell’Irpef e dell’Ires. Le proposte ci sono. E hanno già dimostrato di essere efficaci: il Nens ha prodotto già nel 2014 uno studio tecnico con analisi e progetti di intervento. Il governo ne ha prese solo un paio (e da lì sono arrivati i soli risultati validi). Ma si potrebbe fare molto di più: senza cure alla Robespierre, ma con semplici meccanismi capaci di impedire l’evasione, potrebbero essere messe in gioco alcune decine di miliardi di euro.

La verità è che non lo si vuole fare. Tanto che l’unica, vera iniziativa allo studio sembra essere l’ennesimo condono per i grandi evasori esportatori di capitali.    

Non sarà semplice, dunque, ma nemmeno poco burrascosa la discussione politica sulla legge di bilancio: lo stato di quella parte non piccola della popolazione che ha subito di più i colpi della crisi richiede una politica sociale robusta; le risorse saranno ben poche e a contenderle non ci saranno solo i più deboli, ma come sempre anche l’interesse dei più ricchi e dei più forti.

 

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