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Senza una politica economica e industriale che tenga presente il problema del Sud, l'Italia dice addio alla crescita.

01/08/2014
L'ultimo rapporto Svimez presenta una situazione drammatica: il numero dei posti di lavoro è tornato a 5,8 milioni, il dato più basso dal 1977; Il prodotto pro capite si è ridotto alla stessa consistenza che aveva nel 2003; i consumi sono crollati, compresi quelli alimentari; il numero delle famiglie cadute in povertà è raddoppiato.

La crisi ha allargato ancora di più il divario tra Nord e Sud, facendo dell`Italia il Paese con l`economia duale più marcata al mondo. Le differenze sono così forti per crescita, occupazione e reddito da rendere la media nazionale un dato statistico poco significativo per coloro che vogliono comprendere davvero che cosa stia accadendo nella realtà. Ma non è solo una questione di statistiche. In gioco c’è la possibilità del riscatto per l’intero Paese.

L’ultimo rapporto Svimez ha reso ancora più evidente che senza una politica industriale, una politica sociale, una politica della legalità, cioè una politica economica che abbia in testa che esiste il problema del Sud, l’intera Italia resta ferma, non riesce a camminare, che ci sia o meno tutta la flessibilità che gli imprenditori vorrebbero nell’uso della manodopera e che invocano ogni giorno come se fosse un tocco divino capace di ridestare i morti. Senza questa attenzione, possono esserci imprese, distretti, aree di maggior sviluppo che cercano di collegarsi direttamente al Centro Europa o che fanno faville sui mercati di tutto il mondo, ma l’insieme del Paese resta piantato, fermo sul posto come un vecchio albero, mentre gli altri (si pensi alla crescita Usa del 4 per cento nel secondo trimestre) avanzano correndo.    

Gli ultimi dati presentati nel rapporto dello Svimez lo dimostrano. La foto del Sud dopo oltre sei anni di difficoltà è drammatica: i due terzi dei nuovi disoccupati si concentrano al Sud, il numero dei posti di lavoro è di fatto tornato a 5,8 milioni, il dato più basso dal 1977; solo un giovane su quattro trova impiego; Il prodotto pro capite si è ridotto alla stessa consistenza che aveva nel 2003, al 56,6 per cento del valore del Centro-Nord, nonostante il progressivo calo degli abitanti; i consumi sono crollati, compresi quelli per mangiare e bere; il numero delle famiglie cadute in povertà è raddoppiato.

Due Italie si specchiano dunque in questo difficile momento: quella che resiste, rilancia, fatica, ma tiene e in qualche caso riesce anche a vincere, quasi tutta concentrata nelle regioni del Centro e del Nord, e un’Italia dove, sia pure con alcune straordinarie eccezioni, e anche in presenza di imprenditori che cercano testardamente di sfidare la concorrenza nazionale e internazionale, il deserto industriale si allarga a macchia d’olio, cresce la sofferenza sociale, si allontana la meta della ripresa.

Quando si leggono le previsioni di una crescita del Pil che va dallo zero allo 0,3 per cento bisogna tenere presente questi diversi scenari: è alla luce di questi dati che si capisce perché qui l’occupazione è calata più che altrove, come ha rilevato nel suo studio l’Associazione Bruno Trentin, e perché cresciamo meno degli altri. Il Mezzogiorno deve rientrare negli obiettivi e nell’attenzione della politica del governo.

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